Aspettano tutti di vederti cadere?
Siamo un popolo di invidiosi
Noi italiani siamo un popolo di invidiosi.
Non fraintendermi.
Non voglio parlare male del nostro popolo per divertimento, per sport.
Per partito preso.
O perché io sia uno di quelli che vede l’erba del vicino sempre più verde della propria.
O perché mi piaccia essere iper-critico verso l’Italia.
Purtroppo è un dato di fatto.
Siamo un popolo invidioso.
Non ammiriamo chi si fa un mazzo tanto dalla mattina alla sera per cercare di ottenere risultati.
Siamo molto più impegnati a cercare di sminuire il lavoro degli altri che non ad elevare il nostro.
Se noi non riusciamo a raggiungere il successo in qualche cosa, nessuno deve riuscirci!
Non cerchiamo di imparare dai successi altrui per accrescere la nostra cultura, la nostra capacità, le nostre possibilità future e non sfruttiamo le competenze altrui per imparare qualcosa.
Non ci informiamo a dovere su tante tematiche, perché investire nella propria crescita professionale significa prima di tutto due cose:
- ammettere di aver bisogno di imparare qualcosa da qualcuno;
- riconoscere che c’è qualcuno là fuori più competente di noi, e che quindi può insegnarci qualcosa.
Basta frequentare i social network per capire che per noi è più facile ritenersi esperti di tutto che non riconoscere i propri limiti in qualche ambito, mostrare un minimo di umiltà, interrogarsi sulle proprie vere capacità, chiedersi se non possa essere il caso di documentarsi un po’ di più, farsi qualche domanda, porsi qualche dubbio, prendere anche vagamente in considerazione l’idea di studiare.
Siamo presuntuosi, arroganti, litigiosi, invidiosi.
Sempre pronti a sputare sentenze basate su pregiudizi.
Se certe giornate ti sembra di avere sul collo il fiato di qualcuno, probabilmente è proprio così.
Probabilmente c’è qualcuno da qualche parte che ti sta aspettando al varco.
Che aspetta solo di coglierti in fallo.
Non vede l’ora che tu faccia un errore.
Pronto a sogghignare nell’ombra…
Servono strategie e regole per superare le tempeste
Personalmente mi sono defilato dai social network da qualche tempo, stanco di dovermi sorbire ogni giorno le arringhe dei tanti tuttologi esperti della qualunque, e rassegnato di fronte all’evidente decadimento dell’intelligenza del mio prossimo.
Stanco anche dei falsi interessamenti di alcune persone di fronte a determinati eventi.
Ormai a determinate situazioni ci ho fatto il callo, ma questo non significa che non mi deprimano ogni volta.
A cosa mi riferisco?
Ad ogni correzione marcata dei mercati c’è puntualmente qualcuno che mi scrive e che mi chiede come va, se le mie strategie di trading stiano reggendo l’urto, o se invece non siano andate alle ortiche.
Altruismo?
Preoccupazione per me?
O forse più semplicemente la malcelata speranza che io possa ammettere che le cose vanno male?
Mi capita puntualmente tutte le volte che i mercati scendono in modo marcato.
Dici che dovrei pormi il dubbio che in realtà a queste persone possa stare veramente a cuore sapere come io me la stia cavando?
Non è così, e sai perché?
Perché mi scrivono soltanto in quei casi in cui pensano che io potrei essere in difficoltà, quindi l’interesse è tendenzioso.
Ma fondamentalmente non mi conoscono, e non hanno ancora capito che io sono molto prudente.
Non capiscono che io non scommetto mai sui mercati, io non faccio mai un trading della serie “o la va, o la spacca”.
Non hanno ancora capito che se si fanno le cose con metodo si superano anche le tempeste.
E che con un minimo di competenze e di umiltà si è anche in grado di ritirarsi da battaglie che non si possono vincere.
Ho incontrato tanti trader in vent’anni di onorata professione e ormai riconosco lontano un miglio quelli che si sono trovati a perdere tutto almeno una volta.
Ti fanno domande tendenziose, cercando di metterti in bocca le risposte che vorrebbero sentire.
Chiedono cose del tipo “con il crollo del mercato di marzo 2020 anche tu hai sofferto molto come tutti gli altri (cioè come loro, in realtà)?”
Oppure “il coronavirus ha fatto saltare un sacco di conti, anche tu ti sei trovato in difficoltà, vero?”.
E poi la mia preferita in assoluto, arrivata via mail qualche tempo fa: “Salve professore, immagino che le Sue strategie abbiano subito perdite cospicue durante il lockdown…”.
Non una domanda, ma una affermazione!!!
La semplice convinzione che io abbia perso.
Scommetto che lui ha perso un bel po’, e che con quella mail stesse cercando solo consolazione, da ottenersi potendo godere delle perdite altrui.
No, io non mi sono trovato in difficoltà.
Ho mantenuto sempre un basso profilo, ho agito con prudenza, ho limitato le mie posizioni, mi sono ritirato in perdita da una posizione che minacciava di andare molto male e mi sono riposizionato.
Ho accettato una perdita temporanea per recuperarla poi con calma, come effettivamente ho fatto.
E ho fatto tutto quello che potevo per difendermi.
E ne sono uscito.
La mia equity line
La mia equity line è pubblica, e la possono comprovare tutti gli utenti del mio workshop operativo.
Ma io lo sento costantemente il fiato sul collo di quelli che aspettano di vedermi crollare.
Finora sono crollati soltanto quelli che mi hanno sempre dato contro, però.
Fallirò anche io prima o poi? Boh…
Possono continuare a sperarlo e a crederci, magari un giorno mi troverò di fronte anche io il signor Murphy.
Ci ritroveremo tutti ad Hamburger Hill a dirci che “mal comune, mezzo gaudio”.
Nel frattempo vorrei invitare gli invidiosi di tutto il mondo a dedicare il loro tempo a qualche attività più utile, come lo studio.
Potrebbero scoprire che con il tempo e l’impegno si acquisiscono competenze che apportano vantaggi di varia natura.
Se anche tu, come me, senti sempre il fiato dei tuoi detrattori sul collo, sorridi e guarda avanti!
Buon lavoro
Domenico